
Maltrattamenti in famiglia: caratteristiche essenziali e giurisprudenza
Avv. Guglielmo Mossuto • giu 29, 2022
Il reato di maltrattamenti in famiglia è disciplinato dall’articolo 572 del codice penale rubricato “maltrattamenti contro familiari e conviventi” e si realizza quando un soggetto maltratta una persona della famiglia, o il convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o una persona che gli è stata affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte. Con questa disposizione il legislatore vuole tutelare l’integrità psico-fisica delle persone che fanno parte della famiglia o del contesto para familiare; infatti, il concetto di persona appartenente alla famiglia (che tradizionalmente era circoscritto a coniugi, consanguinei, affini, adottati o adottanti) adesso ricomprende soggetti legati da qualsiasi rapporto di parentela e anche i domestici, a patto che vi sia convivenza. Vittime del reato, infatti, dalla Cassazione n.31121/2014 possono essere tutti quei soggetti che hanno con l’aggressore una relazione che presenta un’intensità e caratteristiche tali da generare un rapporto stabile di affidamento e solidarietà. Per configurarsi il reato, rileva l’abitualità delle relazioni tra soggetto passivo e soggetto attivo della fattispecie. In un caso recente, la Cassazione n.18079 con decisione del 30 marzo 2022, ha confermato la responsabilità dell’imputato, perché la relazione tra lui e la donna si caratterizzava da una frequentazione quotidiana e da fine settimana trascorsi insieme a casa l’uno dell’altra. Questo tipo di stabilità è stato considerato idoneo a generare quella solidarietà di cui un’eventuale convivenza materiale potrebbe essere solo un’estrinsecazione finale, per cui l’affidamento che sussiste nella relazione - che vi sia convivenza o meno - tra soggetto attivo e soggetto passivo del reato è sempre precondizione della sopraffazione che poi si verifica ai danni del soggetto passivo. Il delitto, infatti, è configurabile anche quando il soggetto passivo è una persona non più convivente, se l’agente continua ad avere rapporti stabili con la vittima; e ciò potrebbe accadere, ad esempio, perché tra i due persistono diritti e doveri connessi alla filiazione come il mantenimento, l’educazione, l’assistenza dei figli (Tribunale di Napoli, sentenza n.674/2022). Ricordiamo anche che a seguito della legge 69/2019, la pena prevista per il reato di maltrattamenti in famiglia è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso in presenza o in danno di minori, di una donna in stato di gravidanza, o di una persona con disabilità ai sensi dell’articolo 3 della legge 104/1992. In più, il minore di diciotto anni si considera persona offesa dal reato.
Il delitto di maltrattamenti in famiglia si caratterizza per la continuità e abitualità della condotta: fatti episodici, seppur lesivi di diritti, non integrano il delitto di maltrattamenti. In presenza dei relativi requisiti potranno integrare altre fattispecie di reati contro la persona e mantenere la propria autonomia, ma caratteristica del reato di maltrattamenti in famiglia è la sussistenza di una serie di fatti commissivi o omissivi che sono motivo dell’esistenza di una relazione abitualmente difficile per la vittima. La relazione è evidentemente dolorosa e spesso priva di libertà la persona che la subisce, che proprio per il protrarsi nel tempo della situazione e l’abitualità della condotta, è appesantita, impaurita e risulta incapace di reagire o opporsi. La necessaria configurazione della pluralità di fatti commissivi o omissivi, capaci di instaurare un vero e proprio sistema di vita abitualmente avvilente, è stata ribadita dal tribunale di Torino con la recente sentenza 183 del 2022.
Rispetto all’elemento soggettivo del reato di maltrattamenti in famiglia, sufficiente per la sua configurazione è il dolo generico. Non è cioè necessario che il soggetto attivo abbia perseguito particolari fini, sufficiente è la sussistenza della coscienza e volontà di sottoporre il soggetto passivo a sofferenze fisiche o morali in modo abituale, attraverso fatti lesivi della integrità fisica o della libertà o del decoro della persona offesa, questo è ciò che ricorda il tribunale di Taranto con sentenza 426/2022. La reiterazione dei maltrattamenti, sintomo di consapevolezza nel persistere in un’attività illecita, deve trovare una base nel nesso psicologico che deve essere comune a tutti i singoli episodi integranti la fattispecie, che si ripetono nel tempo (Tribunale Potenza, sentenza n.1517/2022). I caratteri essenziali, dunque, del reato di maltrattamenti in famiglia sono: il trattarsi di un reato proprio, ossia un tipo di reato che può configurarsi solo se posto in essere da una persona che ha un determinato status rispetto alla vittima. È un reato abituale, in quanto le condotte divengono rilevanti per la sua integrazione, soltanto a seguito del loro protrarsi nel tempo. È un reato che richiede come elemento soggettivo il dolo generico, ossia la coscienza e volontà di generare nella vittima conseguenze negative col proprio comportamento.
Per quanto riguarda la pena, il Codice penale indica la reclusione da tre a sette anni. Da tener conto però, come già menzionato sopra, che se il fatto è commesso in presenza o in danno di minori, donna in stato di gravidanza, persona con disabilità o se è commesso con armi, la pena è aumentata fino alla metà e in più, se dal fatto deriva una lesione personale grave si applica la reclusione da quattro a nove anni, se ne deriva una lesione gravissima da sette a quindici anni, se ne deriva la morte, si applica la reclusione da dodici a ventiquattro anni.
Avv. Guglielmo Mossuto