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Sospesi senza retribuzione, sulla condizione dei non vaccinati si attende il giudizio della Consulta

Avv. Guglielmo Mossuto • giu 27, 2022

L’articolo 4 del decreto legge n. 44/2021 del 1 Aprile dello scorso anno, riguardante “Le misure urgenti per il contenimento dell’epidemia da Covid-19, in materia di vaccinazioni anti SARS- CoV-2, di giustizia e di concorsi pubblici” è stato oggetto di vari ricorsi ai tribunali amministrativi regionali da parte di lavoratori che si sono visti sospesi dalla propria attività in quanto non vaccinati e soprattutto, che si sono visti privare della loro retribuzione - primo strumento utile al proprio sostentamento - durante il periodo della sospensione. L’articolo 4, che riguarda in particolare l’obbligo vaccinale per gli esercenti le professioni sanitarie e per gli operatori di interesse sanitario, al comma 4 dispone della sospensione: l’ordine professionale competente se accerta il mancato adempimento dell’obbligo vaccinale, anche con riguardo al richiamo, ne dà comunicazione alla Federazione Nazionale competente, all’interessato, all’azienda sanitaria locale competente, e per tutti coloro che hanno un rapporto di lavoro dipendente, anche al datore di lavoro. L’atto di accertamento dell’inadempimento - continua l’articolo - ha natura dichiarativa e non disciplinare e determina l’immediata sospensione dall’esercizio delle professioni sanitarie e sarà annotato nel relativo albo. Al comma 5 si dispone invece che per il periodo di sospensione non sono dovuti al lavoratore non vaccinato la retribuzione, né altro compenso o emolumento.

In questo periodo, sono state promosse varie cause davanti ai Tribunali Amministrativi Regionali, non solo da parte dei sanitari, ma anche da parte di militari, forze di polizia, personale scolastico. Talvolta, i T.A.R hanno riconosciuto ai soggetti sospesi perché non vaccinati, somme a titolo alimentare. Una sentenza della Corte costituzionale potrebbe fare chiarezza sulla legittimità della norma sopra riportata e ad oggi i professionisti attendono infatti solo una pronuncia da parte della Consulta.

Il tribunale di Catania con ordinanza del 14 marzo 2022 ad esempio ha rimesso alla Corte costituzionale la questione di legittimità relativa proprio all’art 4 comma 5 del decreto-legge 44/2021, nella parte in cui prevede che chi è sospeso da lavoro in quanto non vaccinato, non ha diritto alla retribuzione né ad altro compenso ed esclude perfino l’attribuzione di un assegno alimentare che invece è prevista dalla legge in caso di sospensione disciplinare o cautelare. Ci si domanda infatti come possa essere legittima una norma che priva un soggetto dello strumento che per primo è utile al suo sostentamento, la retribuzione; e che tratta diversamente un soggetto sospeso perché non vaccinato, da un soggetto coinvolto in una sospensione disciplinare che invece ha diritto all’assegno alimentare. Su quest’ultimo punto si era anche espresso il sindacato Anief fin da novembre 2021, quando la stessa privazione di retribuzione, compenso o altro emolumento è stata introdotta anche per il personale scolastico non vaccinato, che sarebbe stato anch’esso sospeso.

Non trattandosi di sanzione “disciplinare”, la sospensione dal lavoro in caso di non vaccinazione è stata finora considerata come conseguenza della mancanza di ciò che è stato elevato a presupposto lavorativo, la vaccinazione. Ma è legittimo considerare la scelta di non vaccinarsi come scelta comportante il venir meno della capacità al lavoro? È legittimo, perché non costituente sanzione disciplinare, negare ogni sorta di compenso al lavoratore? Come già indicato, a volte è stato così (Trib. Firenze 4 marzo 2022, n.155 con nota di L. Cairo). Tuttavia, prima alcuni e poi sempre più lavoratori hanno combattuto duramente, distinguendosi per aver preferito perdere il loro diritto alla retribuzione piuttosto che vaccinarsi e, col passare del tempo, le decisioni dei T.A.R hanno iniziato a rispecchiare quella che è, ormai da un po’, la preoccupazione di alcuni professionisti lungimiranti: è opportuno evitare i danni irreparabili che può provocare la privazione della retribuzione.

Con decreto n.726/2022 viene accolto dal T.A.R del Lazio il ricorso di un dipendente pubblico sospeso dal lavoro e dalla retribuzione per violazione dell’obbligo vaccinale e del green pass. Vengono anche accolti altri due ricorsi con decreto n.721/2022 e 724/2022, sempre da parte del T.A.R del Lazio, che accoglie l’istanza cautelare in quanto la sospensione della retribuzione va a produrre un pregiudizio grave ed irreparabile. In più, vengono anche sollevati profili di legittimità costituzionale delle norme che impongono la certificazione vaccinale. Ancora, il consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana con ordinanza del 22 marzo 2022 ha rinviato alla Corte costituzionale la decisione sulla legittimità dell’art 4, commi 1 e 2, sempre del D.L. n.44/2021 convertito il L.76/2021 per contrasto con gli articoli 3,4,32,33,34,97 della Costituzione. Aspetta anche la decisione della Consulta il T.A.R Lombardia che non ritiene ragionevole sostenere che la mancata retribuzione per tutta la durata della sospensione, sia un sacrificio tollerabile rispetto ai fini pubblici da perseguire, per il T.A.R in questione, infatti, si sarebbe potuta conseguire la tutela sanitaria a pari efficacia, pur prevedendo un adeguato sostegno economico con finalità analoghe all’assegno sociale o al reddito di cittadinanza. Non prevedere il trattamento retributivo, rischia di creare un’irragionevole disparità di trattamento anche con tutti gli altri tipi di sospensione dal servizio, per citare le parole del T.A.R Lombardia, ad esempio la sospensione cautelare del dipendente di natura penale o disciplinare. Anche il T.A.R per l’Umbria sul ricorso n.274/2022 del registro generale, decide per la revoca della sospensione, seppur sempre in via cautelare, aspettando la Consulta, e consente alla sanitaria in questione di tornare a lavorare; così come il T.A.R per il Veneto, che ha emesso l’ordinanza su ricorso n.769/2022 del registro generale e ha sospeso il provvedimento impugnato. Nell’ordinanza del T.A.R del Veneto il ricorrente e il legale spingono per il riconoscimento al lavoratore sospeso di almeno il 50% del trattamento retributivo.  Soprattutto su quest’ultimo punto, ci si auspica una decisione della Consulta che tenga conto dei diritti inviolabili della persona e dei diritti primari del lavoratore, considerando che - come abbiamo ribadito più volte - è proprio il trattamento retributivo la fonte economica essenziale per il sostentamento della persona. In ultima analisi, ci sembra tendente verso lo scorretto il fatto che le decisioni dei T.A.R, quando hanno dovuto decidere sulle spese per il procedimento, hanno optato per la compensazione delle spese. In poche parole: il lavoratore fa un ricorso (che non avrebbe fatto se non fosse stato privato della fonte primaria per il suo sostentamento, la retribuzione), riesce ad ottenere - in molti casi - una sospensione del provvedimento per cui fa ricorso, ma le spese vengono compensate. La nostra opinione è quella che i giudici dovrebbero spingersi oltre la contestazione dell’illegittimità del taglio del trattamento retributivo e rimborsare anche le spese legali al lavoratore ricorrente.

Avv. Guglielmo Mossuto


by Avv. Guglielmo Mossuto